Dall’amore per l’arte la rinascita di un paese diventato internazionale
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da MATTEO PUCCIARELLI
APRICALE (IMPERIA). Uscita dell’autostrada di Ventimiglia, si entra nel paese di confine con la Francia dove dal grande ponte sul Roja si vedono i migranti che camminano sul letto del fiume e qualcuno di loro fa il bagno; poi quindici chilometri in salita e qualche tornante: eccoci arrivati, ospiti di un paese sospeso nel tempo, in perfetto equilibrio tra passato e futuro.
Un passato fatto di stradine medievali senza automobili, case di pietra con le finestre piccole, frantoi abbandonati nelle campagne, il castello della Lucertola e la piazza con la sede del Comune dove i bambini possono stare senza genitori apprensivi alle calcagna; e il futuro soprattutto, fatto di un melting-pot riuscito, del bar principale dove la lingua più parlata è l’inglese, di artisti che possono soggiornare gratuitamente in cambio della loro creatività al servizio della collettività. Apricale: un borgo di 600 abitanti provenienti da 30 nazioni diverse, furesti arrivati dagli Stati Uniti e dal Marocco, dalla Moldavia e dal Giappone: nord e sud del mondo, tutti insieme e senza problemi.
Dietro al successo del modello Apricale c’è una intuizione, anzi forse una piccola utopia, venuta da lontano. Sono gli anni dello spopolamento del paese, delle grandi industrie che nascono nelle periferie delle città e del turismo in riviera, così le campagne vengono abbandonate. Così nel 1964 un politico locale, un democristiano di ampie vedute, Giuseppe Ugo Romagnone, decide di mettere su la Comunità artistica Nervina. Ovvero, ospitalità per chi si cimentasse con l’arte, che però doveva essere lasciata in eredità al borgo.
«Sono gli anni della scuola di ceramica — racconta Marco Cassini, appassionato storico apricalese — delle giornate dell’affresco e dei murales, delle sale mostre con anche le opere di Renato Guttuso, di estemporanee, concorsi di pittura e fotografia». Più in là, sul finire degli anni ‘80, arriverà l’installazione più nota di un artista inglese: la bicicletta sul campanile. E poi di Apricale si innamorerà Emanuele Luzzati, cittadino onorario del paese. Il passaparola sulla bellezza e sulle virtù del borgo, lento ma inarrestabile, nasce così.
Lena Möhler è svedese, vive in Germania ma due mesi l’anno li passa qui dove ha acquistato casa. «Sono innamorata di questo posto e di questa storia», dice. Tanto che ne ha scritto un libro ( Apricale, insieme — together ) fatto di storie. Quelle di chi ha deciso di stabilirsi nel paese. La slovacca Karina che fa il formaggio, gli scozzesi Kate e Dave che si sono costruiti una capanna in stile africano per dormire col fresco quando d’estate fa troppo caldo, la brasiliana Isabel che si divide tra Apricale e Colonia, i norvegesi Kirsten e Trond con la passione per l’artigianato, la sudafricana Merle, insegnante di inglese con un passato di militante nel movimento anti-apartheid di Nelson Mandela.
Poi c’è l’Atelier A. Nasce nel ‘97 con una mostra d’incisione di rilevanza internazionale: dodici incisioni e dodici litografie di Arman, seguiti da incisioni di Alechinsky, Appel, Ben, Chagall, Chillida, Fautrier, Folon, Hartung, KiJno, Mc Lean, Mirò, Picasso, Tapiès, Tinguely e i disegni di Enzo Cini. Adesso è gestito da Roberta Agostini e Gabriele Rosso, entrambi genovesi: oggi l’atelier è una casa, una residenza, un laboratorio creativo multidisciplinare, uno studio di progettazione grafica, comunicazione visiva e laboratorio di artigianato artistico, sartoriale e scenografico. «In quanto entità autonoma e indipendente — racconta Agostini — gestiamo il programma di residenze con la filosofia e i valori dello scambio, pertanto all’artista che soggiorna gratuitamente qui viene richiesta la donazione di una sua opera e un minimo contributo spese settimanale». La A di atelier sta per: Apricale, arte, amore e anarchia.
D’estate vengono a suonare gli Ex-Otago, si ebisce il teatro della Tosse, si gioca con il vecchio pallone elastico, si fa la sagra della pansarola. Mentre sul versante nord del paese, affacciata con vista valle del torrente Merdanzo, sventola sotto il sole una bandiera: è quella arcobaleno della pace.